“Due reazioni differenti: madri “catturate” dall’evento e padri rivolti verso l’esterno”
Come è noto a tutti, per esperienza diretta o indiretta, l’arrivo di un figlio è una grande festa per tutta la famiglia. Quest’evento, comunque, altera gli equilibri di coppia. Niente di tragico ovviamente, però la coppia di neo-genitori si trova di fronte a nuove situazioni da affrontare che richiedono grande responsabilità. Pensiamo allora a quando ad arrivare è un bambino con disabilità; certamente è un evento che disattende fantasie e speranze e la relazione di coppia viene messa a dura prova, creando spesso dei conflitti. La disabilità sfida la famiglia a tre livelli: cognitivo, emozionale e comportamentale. E’ importante infatti che ci siano dei centri con specialisti che offrano alle famiglie un percorso che li aiuti ad affrontare la situazione nel migliore dei modi, affinché ci siano benefici per la coppia e per il bambino. Accade che molti genitori si sentano responsabili per la disabilità del proprio figlio ed emergono sentimenti di rabbia, vergogna mescolati ad ansia e senso di inadeguatezza. Questo porta malessere anche all’interno della coppia e della famiglia.
Molte volte, invece, i genitori, accompagnati da percorsi specifici, riescono a trovare le risorse per riorganizzare le proprie relazioni familiari ottenendo così il benessere di ciascun componente familiare. Una differenza sostanziale è emersa anche nelle reazioni di mogli e mariti. Le madri tendono a stabilire un rapporto molto stretto con il figlio con disabilità, un rapporto “esclusivo”, all’interno del quale la madre gestisce le cure necessarie per il bambino. In alcuni casi però, questo rapporto è esageratamente “stretto” e la madre dimentica di ritagliarsi i propri spazi e che ha altri ruoli oltre a quello di madre. I padri sono più coinvolti nel lavoro e preoccupati degli aspetti riguardanti il sostentamento della famiglia e a garantire al figlio con disabilità un’adeguata assistenza per il futuro, oltre che per il presente ovviamente. Le madri inoltre, cercano di confidarsi con i mariti, hanno bisogno di condividere i propri vissuti emotivi, mentre i mariti cercano di mantenere un atteggiamento più “razionale”. Teniamo ben presente che la disabilità del bambino non è e non deve rappresentare un limite per un’evoluzione positiva e armonica della famiglia. Avere un figlio con disabilità deve essere non un “punto di debolezza”, bensì un “punto di forza”, deve portare ad una trasformazione personale del genitore che trasformerà rabbia e dolore in “strategie” per organizzare la vita familiare. Avremo un genitore che cerca di capire di più, di conoscere meglio, che punta alle trasformazioni individuali e di coppia, nonostante gli stress oggettivi.
Da numerosi studi condotti con genitori di figli con disabilità è emerso un aspetto importantissimo: il cambiamento, la trasformazione positiva dello stress. Sempre dai numerosi studi effettuati è emerso come ogni genitore ha trovato il “personale” modo di reagire; c’è chi mantiene una vita sociale attiva per convincere gli altri della “normalità” del proprio figlio, c’è chi afferma di aver voluto ricercare uno scopo, un significato attraverso l’acquisizione di conoscenze e competenze, altri cercano di trovare un po’ di tempo per “se stessi”, molti affermano di aver consolidato il legame familiare e coniugale. Rientra nel discorso anche la “fede” nella quale molti si rifugiano per cercare conforto e forza.
Concludo dicendo che un figlio con disabilità non è una vergogna, tantomeno un castigo, è semplicemente una persona che ha bisogno di particolari attenzioni, certo non nego che potrà essere fonte di preoccupazioni, ma sarà sempre una benedizione per la famiglia perché porterà gioia e ricambierà l’affetto e le cure con tanto amore e sarà in grado di dare tante soddisfazioni ai genitori al pari di figli non disabili. E poi, diciamo la verità: chi è che non ha bisogno di attenzioni? Siamo tutti un pochino “ speciali ” !!
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